Pubblichiamo qui di seguito il testo di una lettera (1) inviata il 20 luglio 2013 dal dott. Enrico Altieri (2), al Presidente del Consiglio dei Ministri, on.le Enrico Letta, nella quale è evidenziata la probabile natura di aiuto di Stato della misura di cui l’art. 23, comma 16, del d.l. n. 98/ 2011, convertito in legge n. 111 / 2011 (3), attraverso la quale si è consentito alle fondazioni bancarie soccombenti in cassazione di evitare il pagamento delle sanzioni in relazione alla applicazione ingiustificata del regime fiscale degli enti “no profit”.

La vicenda – praticamente ignota al pubblico – è particolarmente interessante in un momento storico quale quello presente, posto che, a causa della stessa, sono venute meno rilevanti entrate del bilancio statale che potrebbero oggi essere recuperate, ove il Governo decidesse di agire in tal senso.

Non risulta al momento alcuna azione governativa nel senso qui auspicato, al di la di una formale quanto cordiale risposta recapitata al dott. Altieri.

L’inerzia governativa potrebbe, tuttavia, ricevere una scossa ove qualcuno degli altri contribuenti che – nel generale riparto del carico impositivo si devono far carico dello “sconto” di cui sono state beneficiate le fondazioni – presentasse una denuncia alla commissione Europea sollecitando una decisione che ordini allo Stato Italiano il recupero dell’aiuto in questione.

(1) La copia della lettera è stata fornita dall’autore, che ci ha autorizzato alla pubblicazione. La riproduzione della stessa in tutto o in parte su siti e carta stampata è libera, all’unica condizione dell’indicazione di AiutidiStato.org quale fonte presso la quale è stata originariamente pubblicata.

(2) Il dott. Enrico Altieri, Presidente Aggiunto Onorario della Suprema Corte di Cassazione, già Presidente della Sezione Tributaria della stessa Corte, è membro del comitato scientifico di AiutidiStato.org

(3) ” 16. Al fine di evitare disparita’ di trattamento ed in applicazione dell’articolo 6, comma 2 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e dell’articolo 10, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in sede di recupero, nei confronti dei soggetti di cui al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, delle agevolazioni previste dall’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, e dall’articolo 10-bis della legge 29 dicembre 1962, n. 1745, non sono dovute le sanzioni irrogate con provvedimenti interessati anche da ricorso per revocazione ai sensi dell’articolo 395 del codice di procedura civile”.

IL TESTO DELLA LETTERA

“Mi permetto, in qualità di ex magistrato, di segnalare alla S.V. una vicenda praticamente ignota al pubblico, per la quale sono venute meno rilevanti entrate del bilancio statale, proprio in un momento in cui vi è un grande sforzo delle forze politiche, e particolarmente del Governo da Lei presieduto, per reperire quanto necessario per far fronte ad un omesso intervento sull’IMU e sull’aliquota IVA.

La vicenda riguarda le c.d. fondazioni bancarie, delle quali mi sono ripetutamente interessato nelle mie funzioni di consigliere e poi di presidente della Sezione tributaria della Corte di Cassazione.

In breve, le fondazioni, nate nel 1990 dallo scorporo dagli enti creditizi di diritto pubblico come enti soggetti alla disciplina del settore creditizio, a seguito della c.d. legge Ciampi del 1996 sono state trasformate in fondazioni di diritto privato. Conseguentemente si sono attribuite lo status di enti non commerciali, come tali non soggetti a tassazione per ritenuta sui dividendi ed interessi. Basti pensare che, essendo il valore delle partecipazioni bancarie delle fondazioni, nel 2000, di circa 80 mila miliardi lire, l’importo della mancata percezione delle ordinarie entrate fiscali ammontava, in pochi anni, a diverse migliaia di miliardi di lire. La tesi sostenuta dalle fondazioni era che le stesse avrebbero avuto esclusivi fini culturali o di beneficenza.

La Corte di Cassazione aveva investito la Corte di Giustizia europea, al fine di verificare se il regime fiscale degli enti in questione fosse un aiuto di Stato, e come tale non applicabile ove non preventivamente dichiarato compatibile col mercato comune dalla Commissione europea.

La risposta della Corte di Lussemburgo (Sentenza 10 gennaio 2005 in causa C–222/04) era nel senso che, pur difettando la qualità d’impresa ( soggetta al regime degli aiuti ) nel soggetto che si limiti alla gestione di partecipazioni, il contrario era da ritenersi nel caso in cui l’ente detentore svolgesse una concreta influenza nella gestione dell’impresa bancaria. In altre parole, era necessario verificare caso per caso se la fondazione si fosse concretamente ingerita nella gestione della banca, e non bastava, per escludere l’applicabilità della disciplina comunitaria degli aiuti, che le finalità indicate nello statuto non fossero di natura commerciale.

Sulla base di tale pronuncia la Corte di Cassazione, con sentenza delle sezioni unite n.27619 del 2006, dichiarò che, per beneficiare del regime fiscale degli enti non profit, la fondazione avrebbe dovuto dimostrare una totale assenza di ingerenza nella gestione dell’impresa bancaria. Tale ingerenza si verificava anche nei casi in cui le fondazioni avessero dismesso la partecipazione maggioritaria, attraverso altri strumenti, quali i patti parasociali col nuovo azionista di maggioranza.
La successiva giurisprudenza della Corte si adeguò pienamente a tale indirizzo, e un’ulteriore conferma giunse con la sentenza delle Sezioni Unite civili n.1576 del 2009.

In definitiva, il vasto contenzioso instaurato dalle fondazioni nei confronti dell’Amministrazione finanziaria si era risolto nel senso che il trattamento fiscale era quello ordinario delle imprese. All’importo dei tributi dovuti doveva ovviamente aggiungersi quello, di rilevanti dimensioni, delle sanzioni previste.

Senonché, l’art. 23, comma 16, del d.l. n. 98/ 2011, convertito in legge n. 111 / 2011, ha previsto che l’Amministrazione finanziaria, in via di autotutela, elimini le sanzioni, purchè sia pendente un giudizio. E poiché, come ho detto prima, i numerosi giudizi instaurati dalle fondazioni si erano conclusi a favore dell’Amministrazione, la norma – in via del tutto discriminatoria – ha considerato pendente un giudizio anche quando contro la sentenza definitiva sia proposto un ricorso per revocazione ( e cioè un rimedio del tutto straordinario ).

La misura è del tutto anomala dal punto di vista processuale. Inoltre, ove la Corte di Cassazione o il giudice che abbia emesso la sentenza divenuta definitiva per difetto d’impugnazione dichiarino manifestamente inammissibile il ricorso per revocazione, l’esercizio dell’autotutela eliminerebbe comunque le sanzioni.

La misura adottata configura, quindi, un aiuto di Stato, costituendo un regime fiscale e processuale di favore, e discriminatorio nei confronti degli altri soggetti.

Non sono in grado di quantificare l’importo che verrà meno, ma mi sembra, come modesto cittadino che ha avuto la sventura di conoscere la vicenda nei dettagli, che porre rimedio a tale anomalia rappresenterebbe un rilevante contributo per trovare i mezzi necessari per far fronte ad un progetto di ridimensionamento dei gettiti IVA e IMU.

Con osservanza”